Riflessioni dalle vostre domande
La pandemia è stata un’“anomalia” inattesa e complessa, al punto da superare la capacità di gestione
routinaria non solo dei singoli individui e dei gruppi, ma anche delle aziende e delle istituzioni. Un’epidemia
(poi pandemia) che ha coinvolto l’intera popolazione, i lavoratori e le imprese, costringendoli ad affrontare
difficoltà e situazioni nuove e impreviste che hanno avuto un grande impatto sulla vita lavorativa ed extra
lavorativa. Ogni livello organizzativo (aziende, parti sociali, amministrazioni locali e regionali ma anche
statali e sovranazionali) ha sperimentato la propria non autosufficienza e soprattutto l’interdipendenza. In
una parola, la nostra capacità complessiva di “resilienza organizzativa” in questi mesi è stata duramente
messa alla prova.
È passato oltre un anno dal suo inizio e ci verrebbe da chiederci: che cosa dire ancora sulla pandemia? Non
si è già detto tutto? Eppure, nel seminario nel 18 marzo ci avete lasciato domande a cui avevamo promesso
di rispondere ed ora onoriamo la promessa. Ogni domanda rimanda a situazioni vissute e per questo prima
di riprenderle in modo dettagliato vorremmo condividere alcuni pensieri emersi in questi tempi dagli
incontri con voi e con altri protagonisti della prevenzione.
In un recente incontro con un gruppo di psicologi sul tema del lavoro “agile”, ci dicevano di come siano
aumentate le richieste di aiuto psicologico legate alla solitudine in generale e alla solitudine del lavoro in
particolare. In questi anni, anche prima della pandemia, abbiamo sempre sostenuto la centralità dell’essere
costruttori di organizzazioni e promotori di benessere organizzativo. Costruttori di un’organizzazione che
valorizza ogni individuo e non individui che demoliscono organizzazioni. La pandemia nella nostra
esperienza è parsa anche fattore che ha agito enfatizzando problemi o rafforzando risorse. Il lavoratore
oggi non può che essere considerato nella sua dimensione organizzativa e l’organizzazione “curata” nel suo
complesso come un organismo animato costituito da individui che agiscono insieme e riflettono ciò che
accade nel mondo.
Durante questa pandemia la comunicazione ha subito molti “insulti”: siamo immersi nella
comunicazione/informazione talvolta anche distorta, al punto che spesso è difficile distinguere cos’è vero e
cos’è falso e vorremmo partire da qui.
Conoscenza e azione
Non è facile l’equilibrio tra conoscenza, rischio, certezza e azione.
A volte l’attesa della certezza ostacola l’adozione più tempestiva di risposte di prevenzione. A volte si
insiste sul fatto che non abbiamo abbastanza conoscenze per agire, quando, invece, molte prove
giustificavano già un’azione precauzionale. A volte bisogna ammettere che non esistono scelte perfette, ma
solo compromessi tra diversi aspetti negativi.
Il modo in cui gli esperti comunicano si scontra facilmente con il modo in cui le persone costruiscono la loro
conoscenza. Il metodo “scientifico” per sua natura non vuole “dimostrare che qualcosa sia vero” ma cerca
sempre di “mettere alla prova” ciò che per ora non è ancora stato “dichiarato falso”. L’atteggiamento dello
scienziato è questo: “Anche questa volta non siamo riusciti a dimostrare che è falso, ma ci riproveremo
ancora, e vediamo se resisterà al prossimo assalto”. È il metodo rigoroso di chi per mestiere deve
perfezionare le conoscenze, in un lavoro letteralmente senza fine. Ma per vivere, a noi (e anche agli
scienziati), quello che ora sappiamo è già molto e spesso più che sufficiente. Se ci dicessero che abbiamo il
90% di probabilità di vincere 100.000 euro acquistando un biglietto del costo di 2 euro, non esiteremmo a
comprare quel biglietto. Eppure, non c’è certezza di vincere.
Ci siamo trovati davanti a un coronavirus nuovo, ma si potevano fare alcune proiezioni ragionevoli in base
alle conoscenze accumulate con gli altri coronavirus, cercando le possibili differenze. La precedente
esperienza ci rendeva consapevoli della stagionalità, del ruolo chiave della sovra dispersione e della
trasmissione tramite aerosol. Ciò che è stato diverso dal passato è stata l’importanza della trasmissione
pre-sintomatica.
Anche ora con il vaccino: non abbiamo dati certi sulla durata della sua capacità di renderci immuni a mesi e
anni di distanza, semplicemente perché non sono ancora passati molti mesi e non sono passati anni dalla
sua somministrazione. Ma perché questo vaccino dovrebbe comportarsi in modo diverso dagli altri vaccini?
Ecco, la ricerca della “certezza” assoluta non è una buona consigliera.
Regole e spiegazioni.
Superato lo scoglio della “certezza assoluta”, è più facile capire il rapporto tra regole e spiegazioni.
Ci sono alcuni punti di attenzione fondamentali: la distanza fisica tra le persone, la protezione delle vie
respiratorie, evitare l’aggregazione negli ambienti chiusi, la sanificazione.
Una volta compreso che il meccanismo di trasmissione del virus è la via aerea, cioè da persona a persona,
tutte le regole di prevenzione ne derivano e sono facilmente comprensibili.
Se ci chiediamo se è protettivo 1 metro piuttosto che 90 o 110 cm, e se il tempo di contatto pericoloso è 15
minuti ma non 10 o sicuramente 20, vuol dire che siamo di nuovo alla ricerca di una “certezza assoluta” e
che cerchiamo di risparmiare sul “ragionamento” basato sulla conoscenza dei meccanismi che invece è la prima regola.
Anche uno sternuto della durata di 1 secondo da parte di una persona contagiante può
trasmettere il virus ad una persona distante oltre un metro all’aperto.
Sfiducia e paternalismo non aiutano. La maggior parte delle persone è interessata già in partenza a
proteggersi da un pericoloso agente patogeno. Consegnare e affidarsi solo a linee guida fisse può dare un
falso senso di precisione e sicurezza. Puntare sulla spiegazione dei meccanismi di trasmissione e aggiornare
le informazioni sul contagio aiuta le persone a fare scelte adeguate sui rischi che corrono in diversi contesti.
Sovra dispersione (cluster)
C’è un punto fondamentale per comprendere questa pandemia e la sua intensità: la sovra – dispersione.
Sappiamo tutti che il virus si trasmette da persona a persona, sia in modo diretto sia indiretto (persona –
oggetto – persona). Quello che abbiamo imparato è che il virus con facilità si trasmette “da uno a molti” e
quindi è estremamente cruciale la prevenzione di situazioni che possono portare alla formazione di
aggregati di casi (cluster). Se il contatto da uno a uno è sufficiente perché io sia contagiato, l’intensità
complessiva della pandemia che poi porta a misure restrittive per tutti è dovuta alla modalità di
trasmissione “da uno a molti” con formazione di cluster.
Quali sono questi luoghi di aggregazione a rischio cluster? Sono luoghi chiusi, poco ventilati, affollati, dove
si rimane un tempo significativo (15 minuti o più?), dove si parla ad alta voce, con distanze ravvicinate tra le
persone, con alto ricambio di persone e quindi molti che lo frequentano, con scarso uso di protezione delle
vie respiratorie, con eventuale uso promiscuo di oggetti e attrezzature e scarsa igiene delle mani.
Sono questi i luoghi pericolosi che mantengono e amplificano la pandemia costringendo poi alle misure
protettive e restrittive. Possono essere ovunque, ovviamente, non certo solo sul lavoro. Sono questi luoghi
che devono essere l’oggetto principale della nostra attenzione se pensiamo alla pandemia nel suo
mantenersi e diffondersi. Partendo da questa condizione che somma in sé molti fattori ciascuno dei quali
aumenta la probabilità di contagio, ci sono poi situazioni in cui i fattori presenti sono minori ma pur sempre
presenti (la zona fumatori all’aperto se ci avviciniamo gli uni agli altri è un esempio).
Indossare correttamente le protezioni delle vie aeree ha un effetto diretto, un effetto indiretto di “non
contaminazione delle superfici” e anche un effetto indotto di aderenza anche alle altre misure di
prevenzione.
Entusiasmo per il vaccino
Il titolo, ovviamente, è ironico. Ci si sarebbe aspettato che la notizia del vaccino fosse accolta con
entusiasmo. Invece, l’accoglienza dei vaccini è avvenuta in un clima di implacabile pessimismo. Al posto di
un equilibrato ottimismo siamo stati sommersi da notizie relative a timori per le nuove varianti, inferiorità
di alcuni prodotti, lunghi elenchi di cose che chi è vaccinato non può ancora fare e si è manifestata sfiducia
nei confronti delle autorità sanitarie, accusate di spostare continuamente i limiti e le indicazioni (ci stanno
prendendo in giro, la pandemia non finirà mai). Eppure, i vaccini attualmente disponibili funzionano nella
prevenzione delle forme gravi di malattia, c’è chi sta già lavorando a nuovi vaccini o a versioni di richiamo
incentrate sulle varianti, nel caso in cui si rivelassero necessari e le agenzie di controllo sono pronte ad
approvare in tempi brevi eventuali aggiornamenti. Ovviamente è importante tener contro del fatto che
molti vaccini prevengono le forme gravi della malattia, ma non il contagio e la trasmissione e che ogni
medicamento può avere effetti avversi. Quasi nessuno esita ad assumere gli antibiotici quando soffre di mal
di gola, anche se spesso non sono necessari e comportano rischi di effetti avversi anche gravi.
“Il vaccino ci avvicina” è lo slogan che ci invita alla vaccinazione. E in effetti, la socializzazione è forse il
fattore più importante per fare previsioni sulla salute e sulla longevità di una persona, dopo l’astensione dal
fumo, l’esercizio fisico e una dieta sana.
Siamo sicuri che tutti voi che ci leggete siate più che ansiosi di passare nella categoria dei vaccinati, e
speriamo che sia presto.
E ora veniamo alle domande
La prevenzione del contagio
“In uffici senza finestre, frequentati per ore, abbassare la mascherina è da incoscienti?” Intanto diciamo che
i locali senza finestre non possono essere adibiti ad ufficio, indipendentemente dalla pandemia. Perciò la
situazione non dovrebbe proprio esistere. In quei locali non ci deve rimanere a lungo nessuno. Al più
possono essere utilizzati come in un archivio in cui si accede saltuariamente e si rimane il poco tempo
necessario con mascherina ben indossata e con adeguata igiene delle mani e delle superfici, con ingresso
facilmente regolamentabile. Nessun contatto stretto, quindi.
“Nei luoghi di lavoro in cui non hanno accesso estranei, è possibile utilizzare da parte di tutti i lavoratori
presenti mascherine FFP2 con valvola?” Anche in questo caso la risposta è no. Se usiamo mascherine con
valvola, quando espiriamo riempiamo l’ambiente con il nostro respiro e possono rimanere in aria e sulle
superfici il risultato della nostra espirazione. Perciò, creiamo un pericolo per gli occhi e le mani degli altri
colleghi. E poi, la pandemia non distingue tra colleghi ed estranei, è un rischio di popolazione e queste
distinzioni non sono reali per il virus. Non dimentichiamo poi che anche con le mascherine giuste e anche
senza epidemia gli ambienti devono essere aerati con un adeguato ricambio di aria come misura igienica
fondamentale. E questo vale per tutti gli ambienti comprese eventuali “Cabine dentro i reparti” che devono
essere valutate per il loro uso e gli adeguati ricambi di aria.
“Igienizzare l’aria con un “aerosol” di acqua /varechina serve? In azienda questa è prassi quotidiana.”
Sinceramente, speriamo di no. Speriamo che non sia prassi quotidiana e che non sia neanche fatto
saltuariamente. Che non sia fatto mai. Inutile e pericoloso in sé e per il suo significato: cosa non si è capito
della epidemia, del virus, delle modalità di trasmissione e di prevenzione?
“Area fumo e la gente ci passa in mezzo”. Anche questa è interessante. La differenza tra un ambiente
esterno e un ambiente interno è fondamentalmente nell’accumulo di aerosol potenzialmente contaminati:
si presume che il ricambio di aria sia maggiormente assicurato all’esterno. Ma per quanto riguarda la
trasmissione di droplet con la tosse o lo sternuto c’è differenza tra esterno e interno ma non è certo
esclusa: da cui l’obbligo di mascherina anche all’esterno. Nella zona fumatori è ovvio che le persone si
tolgano la mascherina per cui in queste zone occorre gestire l’accesso per evitare affollamenti e incentivare
il mantenimento delle distanze. A volte poi gli ambienti esterni per i fumatori sono ricavati in posizioni
delimitate da pareti con limitazione della circolazione dell’aria. Osservare fumatori è indicativo di come il
nostro respiro possa raggiungere distanze significative.
Il nostro auspicio sarebbe che non ci fossero fumatori (visto i rischi importanti del fumo in sé e la maggiore
fragilità del fumatore in caso di infezione da COVID). In ogni caso, non è accettabile che ci siano percorsi
che attraversano una zona fumatori. Non è accettabile. È ovvio.
E veniamo alle mascherine. Nel materiale del corso ci sono informazioni importanti. Ricordiamo qui che se
in un ambiente chiuso “tutti” usiamo correttamente mascherine idonee, siamo “tutti” protetti. Essendo poi
obbligatorio, non è accettabile nulla di meno. E questo riduce di molto la potenziale contaminazione di
oggetti e ridimensiona l’ansia di una disinfezione che se pur necessaria non deve essere vista come misura
sostitutiva o correttiva della mancata adozione delle altre misure.
Nei luoghi di lavoro, come abbiamo visto e come il nuovo protocollo ribadisce, se non sono necessarie
protezioni maggiori per la presenza di altri rischi, la “mascherina chirurgica” è una protezione adeguata.
Ovviamente, come già detto, se tutti la utilizzano correttamente.
Indicazioni di utilizzare misure più specifiche in condizioni particolari sono di volta in volta indicati da
documenti ufficiali (es. scuole, CRA). Sui luoghi di lavoro non si possono utilizzare “mascherine di
comunità”. L’idoneità del dispositivo è verificabile dalla documentazione che la deve accompagnare. Il
tempo di utilizzo è quello indicato dalla documentazione. Caratteristiche di riutilizzo in seguito a lavaggio
devono anch’esse essere chiaramente indicate dal produttore e seguite. Se utilizzate in azienda, le
mascherine lavabili e riutilizzabili dovranno essere lavate a cura dell’azienda stessa per garantire la
correttezza delle procedure.
Una visiera è solo una misura aggiuntiva che ha altre finalità, ma non sostitutiva della mascherina.
“FFP2 da casa, invece delle chirurgiche?” Ecco, questa domanda fa pensare: Non mi fido del fatto che la
chirurgica in sé sia sufficiente? So che ci sono altri che non usano correttamente le protezioni? Penso di
essere fragile e adotto spontaneamente una protezione maggiore? In ogni caso forse c’è un altro problema
da individuare e risolvere. E non è detto che sia facile. Ma sul logo di lavoro dovrebbero essere adottati
dispositivi condivisi e controllati, sotto la responsabilità del datore di lavoro. Sostituire la ricerca e la
soluzione di un problema con un uso isolato di FFP2 non è la soluzione migliore. Immaginiamo ci siano
problemi di comunicazione, relazione, coinvolgimento.
“Bisognerebbe spiegare la differenza tra pulire e disinfettare”. Giusto “Si devono fare entrambi, pulire e
disinfettare”. Giusto anche questo. Aggiungiamo solo una cosa: prima ancora, occorre fare ordine
soprattutto nei luoghi comuni. E poi, dovremmo abituarci ad individuare le superfici che potrebbero essere
contaminate per concentrare la disinfezione su di esse evitando di spruzzare sostanze di dubbia efficacia sui
soffitti.
“Lotti di mascherine non a norma (informazione di internet)”. Una sola domanda: chi ha fatto le “prove” per
poi sollevare casi mediatici, le sa fare?
“Tempo di vestizione/svestizione deve essere in orario di lavoro?” Si.
Il protocollo e il comitato: luci e ombre
“Se il comitato è come il nostro se ne può fare a meno …bravi gli RLS partecipanti ma purtroppo quasi
sempre inascoltati”.
“Da noi veniamo sempre coinvolti ed interagiamo con Rspp, ML e datore di lavoro. Abbiamo pagine web
informative aggiornate, vengono inviate mail con aggiornamenti. Tuttavia, spesso i colleghi NON leggono e
chiedono …”.
“In molte aziende fanno tutto bene ma poi pensano che basta dare un opuscolo ai lavoratori affinché tutto
si risolva così. Manca il passo successivo dove il datore di lavoro deve avere riscontro se ci sono problemi.”
“Ma il comitato Covid è obbligatorio in tutte le aziende?” O in azienda o nel contesto della pariteticità.
“I protocolli fortemente voluti anche dalle associazioni datoriali dell’artigianato che hanno contribuito alla
redazione dei protocolli e delle procedure condivisi all’interno degli organismi paritetici”.
“Quando ci sono situazioni irregolari fatevi supportare subito dalle organizzazioni sindacali.”
“Ma agli RLS deve essere comunicato quando c’è un positivo in azienda?”. Una delle cose che abbiamo
imparato di questa epidemia è la presenza di casi di contagi da persone senza sintomi che non sanno di
essere positive.
Le misure devono essere adottate in modo che siano efficaci sempre. Quando ci fosse un caso positivo, non
ci dovrebbe essere bisogno di modificare le misure. Di fatto pensiamo che non sia accettabile aspettare un
caso positivo per adottarle. Se ci sono comportamenti non corretti, sono questi i “casi” che ci devono
interessare. Altrimenti arriveremo sempre tardi.
E arriviamo al tracciamento…
Il tracciamento è necessario e impegnativo e arriva dopo che qualcosa della prevenzione non ha funzionato.
Le regole relative alle misure di contenimento non sono semplici e sono variabili. Una risposta di oggi
potrebbe non essere adeguata tra pochi giorni.
“A che punto sono le tempistiche di tracciamento? Una volta conclamato il Covid, quanto tempo passa per
intervistare i contatti stretti?” Dipende dall’intensità della pandemia nel momento. Ci sono stati momenti
drammatici e momenti gestibili. L’obiettivo è: entro le 24 ore.
“Lavoratore positivo in isolamento, dopo due tamponi risulta ancora positivo debole.”Attualmente di ripete
il tampone entro il 21° giorno dal primo tampone. Poi si seguono le indicazione dell’Ausl e le norme del
momento.
“Il coniuge conviventi, rimane in quarantena per quanto tempo. Visto che la quarantena parte dall’ultima
volta che ha avuto il contatto, e vivendo insieme …” Sì, rimane in quarantena per 14 giorni dall’ultimo
contatto
Il vaccino
Come abbiamo già detto, pensiamo che dovremmo esser tutti molto sollevati e contenti della disponibilità
di vaccini. Per i vaccini disponibili, le loro caratteristiche, l’efficacia e gli effetti collaterali, eventuali
controindicazioni e modalità di somministrazione, rimandiamo correttamente ai siti ufficiali (es. AIFA) e alle
notizie che contengono comprese le risposte alle domande frequenti. È un tema in divenire e non ci
sentiamo di entrare qui in particolari.
In generale, ci sentiamo di dire che anche i vaccini come i farmaci hanno indicazioni e contro indicazioni, è
ovvio. Vanno analizzate in modo competente nei casi specifici. E pensiamo che chi ha dubbi e paure, debba
essere ascoltato.
Varie ed eventuali
“Si fanno le pause di 23 minuti. Problemi anche per le malattie professionali, non ci fanno fare più 8 minuti”.
Si tratta di attività in linea. La domanda però un po’ troppo sintetica. Non riusciamo a rispondere. Ma ci
ricorda che oltre alla pandemia ci sono ancora tutti gli altri problemi che devono essere controllati.
“Se ho capito bene la dott.ssa ha parlato di tamponi antigenici gratuiti a disposizione delle ‘aziende per fare
screening, Sono già disponibili? A chi mi devo rivolgere, Medico del lavoro?”. I test vanno chiesti dall’azienda
ai nostri servizi presenti nei diversi territori. Nei siti delle Ausl ci sono indicazioni specifiche e recapiti.
Per la Romagna: Screening del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro attraverso test antigenici rapidi
naso-faringei (auslromagna.it)
Conclusione
Vogliamo concludere raccogliendo il “rimprovero” di una lavoratrice che aveva colto nelle nostre parole
una sottovalutazione del suo impegno o dell’impegno di persone come lei che in questi mesi hanno dato
tanto delle proprie energie e della propria vita in diversi campi.
Nulla di questo era nelle nostre intenzioni.
Tuttavia, la resilienza non può essere solo una caratteristica individuale ma soprattutto un modello e una
proprietà dell’organizzazione, una complessiva capacità di promozione di comportamenti organizzativi e
personali, per la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Le organizzazioni che meglio hanno fatto
fronte alla situazione critica che stiamo vivendo sono state quelle in cui la dirigenza ha messo in campo
competenze non solo tecniche, ma anche relazionali in un’ottica organizzativa e non individualista.
La nostra esperienza (per quanto vale) ci ha fatto più volte costatare che la vera forza e i grandi risultati
stanno nelle collaborazioni che riusciamo a creare più che nell’impegno anche “eroico” solitario. Da soli
siamo sempre fragili. Anche quando ci sentiamo forti.
Marco Broccoli
Francesca Zanardi